Accelerare il percorso di sperimentazione per innovare i centri diurni per le persone con disabilità: ridisegnandoli come spazi inclusivi, in cui promuovere le autonomie e l’autostima dell’individuo, riconoscendone l’identità, i desideri, i bisogni e il ruolo sociale, e supportandolo nella costruzione del proprio progetto di vita.
Ad auspicarlo le famiglie, oggi sempre meno propense ad affidare il proprio caro a un centro diurno, visto da molti come luogo statico, chiuso ed autocentrato e dall’offerta limitata, per lo più basato su un approccio assistenziale; a chiederlo con forza anche il mondo della cooperazione sociale, che da tempo accoglie e condivide tali richieste immaginando modalità e percorsi nuovi. È una visione nuova e necessaria di superamento dei centri diurni, servizi sociosanitari semiresidenziali nati principalmente per dare sollievo alle famiglie e costruiti anzitutto come risposta emergenziale, che la stessa Regione del Veneto abbraccia e promuove nel Piano sociosanitario regionale 2019-2023.
Sono stati questi i nodi del dibattito al convegno “Quale futuro per i centri diurni per la disabilità?”, stamattina al centro culturale “Candiani” di Mestre, promosso dalla cooperativa sociale La Rosa Blu in occasione dei suoi 40 anni, in collaborazione con Legacoop Veneto e con il patrocinio del Comune di Venezia.
Ma quali le sperimentazioni da avviare? In che direzioni orientarle? «C’è bisogno di codificare dei modelli strutturati, che naturalmente chiedono anche gambe e risorse» evidenzia Loris Cervato, responsabile del Settore Sociale di Legacoop Veneto, che continua: «La cooperazione sociale è pronta a condividere con le istituzioni e gli attori coinvolti le proprie competenze e la propria capacità di essere laboratorio di innovazione, anche mettendo in campo progettualità già elaborate a cui poter ispirare l’evoluzione possibile dei centri diurni».
E un tassello importante a questa fase di sperimentazione intende metterlo proprio La Rosa Blu di Chirignago (Venezia). Una cooperativa pionieristica, nata alla fine degli anni Settanta, da sempre attiva ai più importanti tavoli di confronto per il riconoscimento del diritto alla cittadinanza ai più deboli, negli anni Novanta ha anche partecipato alla stesura delle linee guida della legge nazionale 381 che disciplina l’attività delle cooperative sociali.
Tre le progettualità innovative della Rosa Blu, già pronte sulla carta e ora in attesa di prendere il via. Perché sullo sfondo, «purtroppo, resta un problema di risorse economico-finanziarie per la gestione ma pure di formazione di nuove competenze per gli operatori, chiamati ad occuparsi anche di persone con “doppia diagnosi”, ossia con problemi dello spettro autistico o psichiatrici» spiega il presidente Marco Caputo.
Gli fa eco Cervato che aggiunge: «Fare innovazione e garantire qualità implica una serie di costi, tra cui quelli legati al personale, da formare e qualificare costantemente. Poniamo perciò all’attenzione della Regione il recente rinnovo del Contratto collettivo nazionale delle cooperative sociali, che comporta un aumento del 6% dei costi del personale e chiediamo un comportamento responsabile da parte delle istituzioni nel considerare tali aumenti nelle rette/quote corrisposte e nei costi dei servizi».
Più nel dettaglio, le proposte elaborate dalla Rosa Blu per superare il modello attuale dei centri diurni, frutto della collaborazione del Dipartimento di Pedagogia di Iusve, si rivolgono tutte a gruppi ristretti di persone (5/6 contro il numero delle attuali 25 ospitate, che può toccare la soglia massima di 30) e prevedono una durata triennale. La prima progettualità ha l’obiettivo di formare competenze che favoriscano l’inserimento lavorativo, scopo fondamentale degli interventi della cooperativa fin dalla sua nascita; la seconda linea progettuale mira a rendere autonome le persone con una disabilità di medio grado in modo da favorire il più possibile la loro permanenza nel contesto familiare; la terza, infine, intende evitare o ritardare il più possibile l’inserimento in una comunità alloggio per chi riscontra maggiori difficoltà nella propria autonomia.
«Ci auguriamo che il nuovo Piano di zona dei servizi sociali e sociosanitari 2020-2022 recepisca tutto questo e metta in rete i diversi soggetti che potranno fornire risorse (finanziarie e non) per l’innovazione dei Centri diurni» commenta Caputo. «Ma chiediamo anche che le cooperative sociali siano rese più protagoniste nelle politiche di inserimento delle persone con disabilità, attraverso una più stretta progettazione e condivisione dei percorsi individuali con i servizi sociosanitari di riferimento».
Manuela Lanzarin, assessore alla Sanità e ai Servizi sociali della Regione del Veneto, intervenuta al convegno ha ascoltato le sollecitazioni delle famiglie e della cooperazione sociale, e dopo aver ricordato come il tavolo regionale per la disabilità si stia occupando di questi temi, anche leggendo i cambiamenti e i nuovi bisogni, ha detto: «Stiamo cercando di andare oltre la programmazione regionale consolidata, affiancando ad essa esperienze innovative sull’inserimento lavorativo, l’autonomia abitativa, i modelli di sperimentazione leggera, i progetti connessi al “dopo e durante noi”. Nello specifico, la fase di sperimentazione per i servizi semiresidenziali è già in itinere (ricordo che la delibera 739, sperimentale di un anno, è stata di fatto poi sempre potenziata e rifinanziata), anche se in misura ancora difforme e disomogenea, ed è monitorata. Ora serve sistematizzarla e creare modelli strutturati perché l’innovazione entri in modo stabile e codificato nella programmazione regionale, innovandola con risposte nuove e aggiornate per le famiglie, che chiedono oggi modelli diversi, più flessibili e moderni».