Rischia di essere un giorno parecchio triste da ricordare per la cooperazione sociale il 15 gennaio. In quella data, a livello nazionale, il progetto di gestione dei servizi cucina in carcere ad opera di cooperative sociali, avviato in via sperimentale nel 2004, si concluderà a causa della mancata volontà del Dipartimento Amministrazione penitenziaria (Dap), guidato dallo scorso 20 dicembre da Santi Consolo.
Sarà così anche per la cooperativa sociale Giotto, che da 11 anni gestisce il servizio di mensa alla Casa di reclusione Due Palazzi di Padova. Il progetto finora ha formato, impiegato e retribuito centinaia di detenuti (oggi sono 22 quelli coinvolti, oltre a 6 lavoratori non detenuti) e al suo fianco è nato poi il laboratorio di produzione pasticcera divenuto ben noto anche fuori dai confini nazionali. Come momento di saluto e ringraziamento, il 14 gennaio i detenuti della cooperativa prepareranno il penultimo pranzo all’interno del carcere padovano: «Sarà anche una sorta di “penultimo appello” a politici e società civile, a far sentire la loro voce accanto e insieme alla nostra» spiega il presidente Nicola Boscoletto.
C’era anche lui, il 30 dicembre scorso, nella delegazione dei responsabili delle coop sociali recatisi dal ministro della Giustizia Andrea Orlando assieme ai Garanti dei detenuti del Veneto, Piemonte e del Lazio: a Roma per invitare il Governo a un ripensamento e per chiedere una proroga rispetto alla scadenza del 15 gennaio, che porrebbe termine a un’iniziativa che vede impegnate dieci coop sociali in altrettante carceri italiane.
Ed era sembrato un segnale di speranza, allora, la breve proroga della scadenza al 31 gennaio 2015, ottenuta in promessa, ma mai concessa formalmente alle cooperative, dal Dipartimento Amministrazione penitenziaria con l’obiettivo di verificare, nel frattempo, le esperienze in atto e individuare soluzioni ad hoc, caso per caso. Di questi giorni invece la notizia che il Governo si è di fatto rimangiato la parola e non intende più concedere la proroga: dal 15, dunque, si scrive la parola “fine”. Un decennio di ottimi risultati non basterà a quanto pare a salvare il progetto, che in alcuni casi – a partire dalla cooperativa Giotto – ha saputo generare modelli d’eccellenza. Circa 170 i detenuti coinvolti a livello nazionale oltre a 40 lavoratori non detenuti, numeri a cui si aggiunge un indotto di ulteriori 150 lavoratori detenuti e altri 40 non detenuti.
Così, con un clamoroso passo di gambero il nostro Paese torna vergognosamente indietro sul versante del trattamento rieducativo dei detenuti e – dati alla mano – dell’abbattimento della percentuale di recidiva. Perché il ritorno a delinquere mentre si attesta tra il 90 e il 70% per i detenuti che lavorano alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria, per coloro che lavorano come dipendenti di imprese sociali scende considerevolmente a una percentuale compresa tra il 10 e addirittura l’1%.
«Il paradosso della questione risulta ancora più grande se si pensa che tutto questo non porterà risparmio all’amministrazione penitenziaria – assicura Boscoletto –, anzi forse determinerà un aumento della spesa con il ritorno a una gestione pubblica delle cucine delle carceri». «A livello nazionale, nei territori in cui il progetto si è avviato, l’amministrazione penitenziale riconosce la validità del progetto: è solo” il palazzo”, ossia chi non è ogni giorno sul campo di battaglia, a non comprenderne il valore».
«La decisione, rimasta fino ad oggi senza spiegazioni comprensibili e accettabili – aggiunge Loris Cervato, responsabile Settore sociale di Legacoop Veneto –, risulta ancora più stonata e sorprendente se si pensa che nel frattempo il Governo sta mettendo in campo una riforma del terzo settore e sta recependo le sollecitazioni dell’Europa a riconoscere e a valorizzare il ruolo della cooperazione, sia sul fronte dell’innovazione e del sostegno di un welfare in grave crisi, sia di quello della ripresa economica e occupazionale del Paese».
Ma a preoccupare non poco le cooperative sociali che lavorano in carcere c’è oggi peraltro anche un altro aspetto. L’anno scorso il Dap aveva chiesto loro di indicare, entro il 31 ottobre, il fabbisogno per il 2015: dunque numero di persone detenute già impiegate e numero di quelle di prossima assunzione, allo scopo di poter usufruire dei vantaggi contributivi e fiscali previsti dalla “legge Smuraglia” (n. 193/2000, “Norme per favorire l'attività lavorativa dei detenuti”). Ora però lo stesso Dipartimento si è reso conto che la richiesta pervenuta sopravanzava del 34% rispetto al fondo disponibile, trattandosi di un totale di 9 milioni di euro a fronte di un budget effettivo concesso che è sotto ai 6 milioni. Un taglio che arriva annunciato a posteriori rispetto ad investimenti già fatti dalle coop e a progetti già in corso, e che non potrà che portare a ulteriori licenziamenti di detenuti lavoratori.